Trent'anni fa
stavo davanti a un televisore in bianco e nero e cantavo “Fammi provare
Capitano un’avventura dove io son l'eroe e combatto accanto a te”. Oggi varco
la porta della multisala con mio figlio di cinque anni e non posso dire che non
mi faccia un certo effetto rispondere alla sue domande curiose su quel
personaggio oscuro.
In ogni caso,
per gustarmi questa produzione celebrativa, ho deciso di fare tabula rasa dei
ricordi e di concentrarmi solo sul film.
La prima
impressione, una volta spente le luci, è di trovarsi di fronte a una produzione
minore: mi sono abituato troppo presto alla perfezione tecnica delle produzioni
Pixar da 300 milioni di dollari (Capitan Harlock è costato appena un decimo).
Non faccio a tempo a pensarlo che subentra di colpo tutto il fascino di un personaggio eccessivo
come Harlock in un mondo post apocalittico che dire eccessivo è poco. Davanti a
uno spettacolare abbordaggio spaziale, a mostri alieni lunghi cinque chilometri
o ad affascinanti armature femminili con i tacchi, chi se ne frega se la
fluidità dei movimenti dei personaggi non è perfettamente realistica?
Così, mi immergo
nella storia definitiva di Harlock che ricostruisce presente, passato e futuro
del Pirata spaziale.
La storia si
mantiene originale seppur in un contesto molto sfruttato dagli immaginari
fantascientifici.
Ci sono i
cattivi che avrebbero dovuto essere i buoni. Ci sono i reietti che sono
diventati le reclute preferite di chi combatte sì per la libertà , ma
soprattutto per la verità .
Ci sono materie
oscure che donano la vita eterna, almeno finché ci sarà una ragione per
combattere. Ci sono tradimenti, faide familiari e di potere e un concetto forse
un po’ troppo canonico di onore.
In estrema
sintesi, ci sono gli ingredienti giusti per suggestionare grandi e piccini: sì,
piccini, perché la violenza di Capitan Harlock non va mai oltre il limite della
fantasia, è di quelle innocue, da guerre messe in scena con spade di legno in
cortili d'estate di trent'anni fa.
Difetti di
fabbrica? Troppe scene scure per poter avere un 3D superlativo, un doppiaggio
italiano a volte troppo tecnico e (qui è mio figlio che parla) neanche un
accenno alla fantastica sigla italiana del cartone.
Stefano Nicoletti
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