Certo che Randal ha proprio ragione. Ne aveva ai tempi di Clerks II, quando sfotteva la trilogia dell'anello ma quel discorso varrebbe benissimo anche per la trilogia di Lo Hobbit: in questi film infatti non si fa altro che camminare da un posto per raggiungerne un altro. Durante il viaggio accadono cose, si formano alleanze e si sconfiggono mostri, ma la cosa principale è che ci si muove. D'altra parte il viaggio, più o meno tortuoso, più o meno lungo, ha il solo scopo di permettere all'eroe di guardare bene dentro sé stesso. Dai tempi dell'Odissea.
Con Lo Hobbit: la desolazione di Smaug, Bilbo arriva davanti la Montagna dei nani che il drago Smaug ha occupato prepotentemente, vi entra ma non uccide il mostro anzi lo fa incazzare a tal punto che questi decide di uscire fuori e fare una strage, ma già ci troviamo alla fine del film per cui per vedere cosa combinerà Smaug e come reagiranno i protagonisti (Bilbo ha sempre con sé l'anello degli anelli) dobbiamo aspettare dicembre. Nel mezzo poca roba: un ragnone crea qualche problema, forse lo stesso ragnone che sarà sconfitto anni dopo dal nipote di Bilbo, Frodo. Il tutto ottimamente raccontato, per carità Peter Jackson è bravo, sa dirigere, sa sceneggiare, e lo sappiamo tutti. Altri avvenimenti però non mi sovvengono. Già imprimere nella mente i nomi assurdi dei personaggi è una bella impresa.
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