10 aprile 2014

[RECENSIONE] Botte di fortuna


Qualcuno avrà fatto notare alla regista e soggettista Ramaa Mosley che il suo Botte di Fortuna è spudoratamente ispirato al racconto di Richard Matheson intitolato Button, button che Richard Kelly ha portato sullo schermo nel 2009 con The Box?
Se nell'altro c'era un pulsante da schiacciare per "guadagnare" un milione di dollari, qui c'è una teiera d'ottone (come dice anche il titolo originale della pellicola, The Brass Teapot) rubata che magicamente fa uscire fuori di sé dei soldi ogni volta che nelle immediate vicinanze c'è un avvenimento doloroso.
Le analogie, almeno quelle superficiali, ci sono tutte a cominciare dal fatto che le due coppie hanno bisogno di quei soldi facili. Quello che cambia in maniera drastica è l'approccio delle due pellicole. Kelly da buon cervellotico (stiamo parlando del regista di Donnie Darko) tira fuori una roba che spiazza tra fantascienza complottista e un pessimismo di fondo che non va via neanche nel finale. Alice e John, i protagonisti di Botte di Fortuna, interpretati da Juno Temple e Michael Argano, invece rischiano qualcosa ma non molto, mai troppo o per davvero. Il loro pentimento, convinto, arriva solo con il più classico dei deus ex machina che non solo gli toglie l'impiccio ma gli regala pure una buona uscita da paura.
Insomma Botte di Fortuna è la versione di The Box per le famiglie, fatta per non turbare ma divertire. Peccato perché qualche trovata interessante e divertente c'era, come quando i due stanchi di farsi del male iniziano a sfruttare il dolore degli altri (come nella sala parto) o quando scoprono che anche insultandosi o confessando tradimenti amorosi si può provocare del dolore. No pain no gain, come dice anche la frase di lancio del film.

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