09 febbraio 2016

[RECENSIONE] The Hateful Eight

Da dove iniziare per spiegare, con il massimo tatto, i motivi per cui The Hateful Eight è una mezza stronzata?
Direi di partire da uno dei cuori: l'ansia, la tensione e la paranoia.
La storia del film di Quentin Tarantino racconta di un gruppo di persone che si trova costretto a dover passare del tempo insieme in un emporio nel Wyoming a causa di una bufera di neve. Siamo negli anni subito dopo la guerra d'indipendenza. Tra di loro c'è una donna condannata a morte. Alcune di queste persone si conoscono tra di loro da prima, altre hanno una fama che li precede, ma ci sono anche dei perfetti sconosciuti. Col passare del tempo nel cacciatore di taglie soprannominato Il Boia (Kurt Russell), deciso a portare la condannata a Red Rock per riscuotere la taglia e vederla impiccare, aumenta sempre di più l'idea che qualcuno tra i presenti sia in combutta con lei per evitare la forca. Ma chi? Difficile capirlo. Perché pian piano esce fuori che tutti i personaggi, chi più chi meno, non sono chi dicono di essere spiazzando, e in qualche modo ingannando, anche chi aveva già avuto a che fare con loro. Ecco che anche chi aveva stipulato un patto con un altro inizia a credere di averlo fatto con la persona sbagliata, che la paranoia e la tensione dilagano.
Il problema è che questi sentimenti e sensazioni non passano attraverso lo schermo, non arrivano fino allo spettatore. L'ansia non viene trasmessa, non c'è tensione, mai. Giusto qualche cosa durante il racconto che Samuel L. Jackson fa a Bruce Dern, ma è una tensione legata al racconto che egli fa che poco c'entra con la storia principale, racconta solamente la vendetta dell'uomo nero sul dominatore bianco. Ancora di meno se ne avverte nella scena clou in cui la condannata Jennifer Jason Leigh suona la chitarra, con il fuoco della macchina da presa che si sposta da lei a quello che accade dietro*.
Solo i colpi di scena funzionano, gli spari di pistola o di fucile improvvisi, magari perché giungono da punti imprevedibili. Colpi di arma da fuoco che però nelle loro conseguenze sforano nell'assurdo e nell'esagerazione tipica di certo cinema americano caciarone. Dalla testa che esplodeva al povero Marvin in Pulp Fiction a quella di The Hateful Eight ci passa un abisso. La raffinatezza di un tempo si è trasformata in una tamarrata in 70mm.
Ok, questo del formato, messo così a fine frase senza preavviso, è anch'esso un colpo di scena esagerato. Perdonatemelo ma era per darvi una sorta d'idea.

Tarantino poi ha un po' esaurito la sua capacità di far chiacchierare i suoi personaggi, o meglio gli  ha preso un po' troppo la mano. I protagonisti di The Hateful Eight sono tutto un "Tu non sai chi sono io" o "Ma come, non sai chi è lui (o lei)?". A volte però entra in dei dettagli che sono irrilevanti per la comprensione della storia, e anche dei personaggi, e creano solo smarrimento, e non venite e dire che è un effetto voluto.

Le cose che più non funzionano però sono i rallenty durante le esplosioni: i corpi che cadono a terra, gli oggetti in mille pezzi e peggio di tutto le loro voci. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso, il limite che Tarantino poteva benissimo evitare di superare. Lui che è così bravo ed attento nell'assecondare i gusti del pubblico per poi disattenderli.
E anche le musiche originali di Morricone non è che siano entusiasmanti. Funzionano meglio quelle recuperate dagli scarti della OST di La Cosa (clicca per la recensione) di Carpenter anche perché il film di Tarantino tra paranoie, ambiente chiuso e paesaggio innevato lo ricorda abbastanza.

Peccato. Perché l'inizio prometteva parecchio con le comiche conseguenze dello scaracchio sulla lettera di Lincoln. I problemi nascono quando si fa prendere troppo la mano dal fanciullino in lui che gode nell'esibirsi in scene di assurda violenza.
Ma il vero problema, quello davvero preoccupante, sta nella gente che ciecamente grida ogni volta al capolavoro, sta in queste isterie di massa dettate parecchie volte più da una necessità di pensarla come gli altri che non da una reale convinzione in ciò che si pensa.
Tarantino ha vinto e vincerà sempre: è talmente pop da essere inattaccabile.
E adesso mangiatemi pure il cervello.

*: su questa scena c'è un aneddoto che potete leggere sulla pagina FB del nostro sito (clicca).





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