22 gennaio 2014

Vanishing on 7th street - RECENSIONE

I film che mi piacciono particolarmente mi mettono soggezione: non riesco a parlarne con naturalezza.
E' la paura che le poche parole di un giudizio sprezzante e frettoloso distruggano quella polverina magica che ancora mi fa luccicare gli occhi.
Succede così, ad esempio, con tutti i film di Mario Bava: come posso riuscire a spiegare che due scene di pochi minuti in tutto possono rendere caro, imprescindibile, indimenticabile un film che ha comunque una valanga di altri difetti?
Anche Vanishing on 7th street di Brad Anderson mi suscita le stesse emozioni, quando ne leggo in giro recensioni pessime che si soffermano su dettagli inutili e dimenticano i punti fondamentali.
Dimenticano un incipit che stordisce: tutte quelle sparizioni che non a caso si verificano nel buio di un cinema. Dimenticano una capacità di gestire le luci e le ombre che non può non essere di un artista del cinema. Dimenticano le suggestioni di una storia in cui la morte ti viene incontro senza darti spiegazioni.
Vanishing on 7th street è emozione viscerale, di quelle difficili da farsi scivolare addosso, nonostante attori così così, nonostante l'evidente low budget.
Il regista Brad Anderson (L'uomo senza sonno) in un'intervista di presentazione del film sosteneva proprio che uno spettatore non cerca una storia, ma semplicemente emozioni: in questo film ne ha dato dimostrazione a trecentosessanta gradi, portandoci dentro una notte senza fine per soffermarsi a saggiare le nostre reazioni estreme di piccoli esseri umani spaventati dalle nostre stesse ombre.

Stefano Nicoletti

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