05 marzo 2014

[RECENSIONE] Snowpiercer

C'è qualcosa che non torna in Snowpiercer. Forse è colpa dei (presunti) numerosi tagli inflitti al film del coreano Joon-ho Bong da Harvey Weinstein? Non lo so, toccherà indagare. Resta però un abisso tra la prima parte e la seconda impossibile da non notare.
Per capire di che parliamo però è necessario raccontare a grandi linee la trama: in un futuro non troppo lontano a seguito del riscaldamento terrestre una nuova glaciazione ha colpito la Terra. I pochi superstiti rimasti viaggiano su un treno che non si ferma mai. Sul mezzo le classi sociali sono separate mettendo in testa i più ricchi e in fondo i più poveri. Be', la prima parte nei vagoni dei poveri è talmente grondante retorica da rendere banale il loro nobile intento di fare la rivoluzione, prendere il potere, cambiare le cose.
Le cose migliorano decisamente nella seconda parte, che è appunto quella in cui si passa all'azione. Snowpiercer non va tanto per il sottile: ci si mena, si spara, si ammazza e si muore che è una bellezza. Come diceva Mao, e ce lo ha ricordato anche Sergio Leone, la rivoluzione non è un pranzo di gala ma un atto di violenza. Dai numerosi scontri per raggiungere il primo vagone, dove risiede l'inventore del treno in moto perpetuo, emerge sempre più la figura di Curtis (Chris Evans): è lui a guidare i rivoltosi. Anche in questo caso, a voler essere scassacazzi, il film un pochino scade quando qualche personaggio dice espressamente frasi come -Sei l'eletto- o -Sei il loro/nostro capo-. Che senso ha farcele sentire o meglio fargliele dire? Maledetti spiegoni che tolgono la capacità di pensare! A parte questo dettaglio, il fatto che lui sia il leader dei rivoluzionari porta a un bel po' di movimento nel film fino ad un finale decisamente inaspettato anche se coerente con l'andamento e lo spirito del film.
Se non fosse per la prima parte eccessivamente paracula Snowpiercer sarebbe davvero un film migliore. Tutto sta a scoprire se i 20 minuti che Weinstein ha tagliato dal film si trovavano per lo più all'inizio.
Purtroppo Joon-ho Bong non è il primo né l'ultimo regista straniero arrivato ad Hollywood al quale in qualche modo negano il totale controllo del suo lavoro. E non è neanche la prima volta che sia proprio Weinstein a tagliuzzare un film asiatico da distribuire nei paesi occidentali. Peccato perché tutti i vari pezzi del film funzionano piuttosto bene, a cominciare dall'ironia grottesca ben rappresentata dal personaggio del ministro interpretato da Tilda Swinton, così come le varie differenze (cromatiche ad esempio) tra i vagoni dei poveracci e quelli dei sempre più ricchi. Resta alla fine il desiderio di vederci chiaro in questa faccenda, magari aspettando un director's cut in BR o andando a recuperare il fumetto francese (sta uscendo nelle edicole) da cui tutto è partito.

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