01 agosto 2014

[EXTRA] Mario Bava attraverso i generi

Come accade a (quasi) tutti noi, nella vita, per alcune cose c'ho avuto culo per altre decisamente no. Sul cinema sono stato fortunato. Mio padre sin da piccolo mi ha abituato a guardare di tutto, compresi gli horror. All'epoca mia, accidenti già parlo come un vecchio, le tv private passavano di pomeriggio robetta tipo Fantasmi di Don Coscarelli, La Mummia di Terence Fisher e Operazione Paura di Mario Bava. Spesso solo anni dopo ho abbinato a questi film un titolo e un regista, come nel caso proprio di Operazione Paura.


Ho scoperto solo parecchi anni dopo, leggendo i volumi di Teo Mora, il suo titolo e che si trattava di un film di Mario Bava. All'epoca potevo avere sì e no una decina di anni, parliamo della metà degli anni '80, e abitavo in una casa in un nuovo quartiere periferico. La casa si trovava abbastanza vicina al cimitero della città. Con il mio amichetto delle elementari inventavamo da sempre situazioni spaventose ed andare ad abitare tutte e due vicino ad un cimitero ci sembrava una cosa meravigliosa. Alla prima occasione, soprattutto di notte, andavamo lì alla ricerca di cripte piene di ragnatele e di buio, di ossari e altre cose da film gotico. Ogni volta quindi che trasmettevano un horror in tv impazzivo se c'era almeno una scena ambientata in un cimitero. E in Operazione Paura ci sono credo almeno due scene ambientate nel piccolo cimitero di Kermigen. Non fu però quello a colpirmi di più. A spaventarmi ci pensarono ovviamente le fugaci apparizioni di Melissa Graps, la sua risatina diabolica, la villa isolata, stregata e maledetta e poi quella palla! Quella cazzo di palla che rimbalzava! Quando ho visto Operazione Paura per la prima volta a casa avevamo un piccolo televisore in bianco e nero. Era estate, fuori c'era il sole e io in cucina mi cagavo addosso. Rivederlo anni dopo, a colori, con una coscienza diversa me lo ha fatto apprezzare ancora di più. C'è un momento che la prima volta non avevo notato: una zoomata avanti e indietro che si ripete per due/tre volte. Una soggettiva di Melissa che si dondola sull'altalena. Senza tagli di montaggio però a un certo punto lo zoom si ferma e Melissa appare su un lato dell'inquadratura e inizia a camminare. Questo breve momento fa pensare a Martin Scorsese o anche al nostro Paolo Sorrentino. Soprattutto il primo pare ossessionato dalle soggettive che a un certo punto smettono di essere tali. Basti guardare Gangs of New York, ma anche Il divo, per farsi un'idea di che cosa sto dicendo. Bava era maestro di tantissimi trucchi semplici da realizzare, per lui, ed efficaci quando li si vede. Merito delle sue profonde conoscenze fotografiche. Trucchi che -se era in vena- ti mostrava anche come erano stati realizzati, come nel finale di I tre volti della paura con Karloff che monta il finto cavallo o in Shock quando la minacciosa figura che vediamo scopriamo essere prodotta dal piccolo protagonista mentre gioca. Questo perché Mario Bava non si prendeva mai troppo sul serio, né prendeva il cinema troppo seriamente. Però sapeva spaventare perché era un fifone, uno di quelli che guarda sotto il letto prima di coricarcisi sopra, come Dario Argento. Quelle stemperate che dava quando mostrava un trucco erano anche per esorcizzare le sue paure, forse.

Ma Bava non è stato solo il regista di film gotici come Operazione Paura, La maschera del demonioShock. Bava tra alti e bassi ha attraversato parecchi generi cinematografici e ha contribuito alla creazione di tanta roba. Del giallo all'italiana, per alcune cose iconografiche. Con Terrore nello spazio per alcune idee apre la strada ad Alien di Ridley Scott, con Reazione a catena dà il via allo slasher e influenza soprattutto, anche per l'ambientazione, il blockbuster americano Venerdì 13. Ha girato peplum con elementi fantastici se non addirittura horror (Ercole al centro della terra), western (La strada per Fort Alamo, Roy Colt e Winchester Jack), ha fatto arrabbiare le Giussani per la sua versione di Diabolik, ma si è anche cimentato nella commedia con Le spie vengono dal semifreddo (con Franco, Ciccio e Vincent Price) e Quante volte... quella notte, la sua versione cazzona di Rashomon. Per alcune bastarde leggi del mercato a un certo punto senza neanche troppi complimenti viene messo da parte, estromesso dalle decisioni finali riguardanti i suoi film. Destino ingiusto per uno che si era fatto la gavetta completando senza riconoscimenti ufficiali (leggi titoli di testa) i film degli altri. Ma il destino a volte è bastardo. Probabilmente se il suo violento road movie Cani arrabbiati non fosse stato bloccato all'epoca della sua realizzazione nel 1974, per il fallimento della casa di produzione (la Loyola Films), adesso in Italia Mario Bava sarebbe famoso come Dario Argento e la sua carriera si sarebbe conclusa diversamente.
Il mio sogno, comunque sia, non è tanto quello di fermare cento persone a caso chiedere loro chi è Mario Bava e sentire sempre una risposta giusta, no, perché a me non cambia niente se tutto il mondo conosce o ignora Mario Bava o un William Castle. Nel mio piccolo ci provo ma non è questo lo scopo principale della mia esistenza. Il mio sogno è un altro: scoprire dove si trova la navicella rubata dai set di Terrore nello spazio. Quello è un mio Sacro Graal.

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