02 agosto 2014

[EXTRA] Mario Bava ricordato da...

Raccolgo un po' di testimonianze di personaggi del mondo dello spettacolo che hanno avuto a che fare con Mario Bava.


La scena dell'inseguimento sull'argine del Po era particolarmente problematica: dovevamo girare in esterno, i due attori dovevano correre e non ne avevano per niente voglia, per cui c'era bisogno di un direttore delle luci molto svelto, quasi sbrigativo,  che approfittasse di ogni momento della loro disponibilità. Bava realizzò quella sequenza in modo impeccabile e con grande classe, tant'è vero che è diventata la scena simbolo del film, la fanno rivedere ancora oggi, la proiettano anche nelle scuole. Più per merito suo che per me o per gli attori. (Mario Monicelli, su Guardie e Ladri).

Bava è stato direttore della fotografia del mio film Terza Liceo e il nostro incontro fu più o meno limitato a quella lavorazione. Diventammo istantaneamente amici, anche se l'ultima settimana di riprese si allontanò dal set per andare a fare il regista "occulto" di un film che si chiamava Balocchi e profumi. (Luciano Emmer).

Con Mario Bava ho avuto soltanto dei contatti indiretti, ai tempi dei miei film con Steve Reeves, ma lo ricordo come una persona sempre sorridente e gradevole. Lo vedevo piazzare le luci sul set con grande cura, anche se spesso nelle fasi di pre-light c'erano le controfigure al osto degli attori principali. All'epoca su utilizzavano i bruti da 500.000 volts, erano potenti quanto i fari che si puntavano in guerra contro gli aerei, glia ttori con gli occhi chiari non riuscivano nemmeno a tenerli aperti, c'era il rischio di rimanere abbagliati per giorni interi. La cosa che mi è rimasta impressa è che, quando c'era lui a fare la fotografia, non avevo mai problemi agli occhi. (Mimmo Palmara).

Con Mario ho lavorato spesso e ogni volta ha risolto problemi che sembravano insormontabili. E gli piaceva la sfida, gli piaceva superare i limiti del mezzo tecnico. Spesso se gli si diceva che una cosa era impossibile, lui rideva sotto i baffi e provava a dimostrare il contrario. Rimasi sbalordito per quello che fece nel cortiletto della Scalera: con un paio di cristalli riprodusse degli scorci di Parigi spettacolari. I francesi non riuscivano a credere che avevamo girato tutto in un teatro a Roma. (Riccardo Freda).


La prima volta fu sul set de Le fatiche di Ercole, di Pietro Francisci, lui era il direttore della fotografia. Quando arrivai, vidi questa scena sconfortante nel teatro della Scalera: uno schermo azzurro un po' rattoppato e su un carro c'erano Steve Reeves e Silvia Koscina che cantavano in playback "Per la civiltà di Iolco...". Un vero squallore. Io guardia Mario bava che mi sorrise e disse: "Come siamo ridotti!". Poi andai in proiezione e questa scena sembrava vera e magica, tutto acquistava un senso di realtà e di eleganza. E capii quanto l'occhio di Mario era stato importante per il risultato finale. (Massimo De Rita).

Tutta la troupe si adattò all'atmosfera anche dal punto di vista cromatico: ad un certo punto sembrava che nessuno potesse indossare una maglietta rosa, o meglio, a nessuno poteva venire in mente di indossare una maglia rosa. Divenne un set rigidamente monocromatico, a cui tutti si adattarono scegliendo per venire a lavoro vestiti che andavano dal grigio, al nero, al bianco. (Barbara Steele).

Era come un giocatore di carte, prendeva dieci comparse e le trasformava in cento. Oppure con i modellini di alcune barche simulava una maestosa battaglia navale. (Alberto Bevilacqua).

Era un regista che aveva un grandissimo rispetto per il denaro e la pellicola, girava addirittura col cronometro. Per esempio gli ho visto fare una cosa (sul set de La frusta e il corpo) che io non ho mai fatto: strappare le pagine del copione dicendo: "Siamo abbastanza lunghi, questa scena non la giriamo". Ed è una cosa molto sana, tagliare prima invece di tagliare dopo. (Sergio Martino).

Quando ho recitato ne Il mistero di Sleepy Hollow, Tim Burton mi ha confessato che il film era un omaggio ai film della Hammer e a La maschera del demonio. (Christopher Lee).

Mario forse temeva di addentrarsi nelle tematiche legate al mondo dell'inconscio, il mondo segreto; per questo se ne distanziava usando un tono scherzoso, eccessi che portavano lo spettatore a pensare che fosse tutto un gioco. Era una persona molto simpatica e ironica. E nei suoi film si vede l'ironia. La violenza è esplosiva, ma è anche un po' buffa. (Dario Argento).

Girammo tutto nel teatro cinque di Cinecittà, in cui doveva esserci sia la superficie del pianeta che la ricostruzione dell'astronave. Ricordo che quando sono arrivato sul set ho chiesto subito: "Ma l'astronave dov'è?". Ovviamente Bava lavorava in piccolo, con dei modellini. Il modellino originale è andato perduto, ma ricordo che Mario aveva costruito una piccola vasca, che conservo ancora in una casa in campagna, in cui nevvero fatti tutti gli effetti speciali a vista. Il modellino di astronave che costruì era in grado di atterrare e di fare tutti i movimenti necessari. Lui era fantastico nel creare gli effetti con quattro centesimi, l'unica spesa grossa fu quella dell'affitto del teatro di posa. Sul set non si faceva mancare nulla, ma allo stesso tempo riusciva a risparmiare su tutto. (Fulvio Lucisano).

Dichiarazioni tratte da Kill Baby Kill - il cinema di Mario Bava, a cura di Gabriele Acerbo e Roberto Pisoni, Un mondo a parte.

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